Jannik Sinner era il favorito assoluto per la vittoria del primo Slam della stagione (il suo terzo in carriera) e non ha deluso le aspettative. Alexander Zverev, invece, con l’ennesima sconfitta su 3 finali nei Major, ha confermato i suoi limiti - anche e soprattutto mentali - che gli impediscono (ancora) di scalare la vetta del tennis mondiale. Sempre meglio di Medvedev, comunque, vittima di un’inquietante involuzione da un anno a questa parte, e anche dello stesso Alcaraz, che per il secondo anno consecutivo ha deluso in Australia, facendosi sorprendere dal veterano (e recordman di vittorie a Melbourne) Novak Djokovic. Strepitose, invece, le prestazioni di Sonego - a mio avviso la vera sorpresa di questo torneo - e, per quanto riguarda le donne, di Madison Keys, capace di ribaltare i pronostici che davano per certa la tripletta della tigre bielorussa Aryna Sabalenka.
TOP (1): Jannik Sinner
Ormai è sempre più difficile trovare le parole adatte per descrivere le imprese dell’altoatesino: tre vittorie in tre finali Slam, l’ultima delle quali senza concedere neanche una palla break al numero due del ranking mondiale; solo due set lasciati agli avversari in tutto il torneo e una sola partita - quella contro Rune - in cui ci ha fatto davvero tremare, non perché il suo tennis non fosse all’altezza, ma per le solite fragilità fisiche che al momento sembrano essere il suo unico limite. E tutto questo nonostante lo stalking soffocante di Kyrgios sul caso “doping”, le dichiarazioni ambigue e a volte poco rispettose di Djokovic e l’annuncio ufficiale delle date dell’udienza WADA. Una solidità mentale fuori dal comune per un ragazzo che - ricordiamolo - ha solo 23 anni, ma sembra avere la maturità di mio nonno che ha fatto la guerra.
Dal punto di vista tecnico è quasi impossibile trovare dei punti deboli nel suo gioco. I colpi da fondo - passanti compresi - su entrambe le diagonali sono i migliori del circuito per potenza e continuità - particolarmente letale il rovescio lungolinea; il servizio - sia in termini di percentuali che di efficacia - si conferma essere un’arma micidiale; la palla corta viene usata con estrema parsimonia, ma anche con estrema intelligenza e la solidità nei punti decisivi - i 16 tie-break vinti sugli ultimi 18 stanno lì a testimoniarlo - ricorda quella dei Big Three e in particolare quella di Djokovic, di cui è indiscutibilmente l’erede. Inutile, infine, sottolineare il suo comportamento esemplare anche fuori dal campo, con i gesti e le parole rivolti a uno Zverev devastato dopo la sconfitta.
Unica pecca: come cazzo si veste? Trovategli un armocromista o dite alla Nike di impedirgli di scegliersi l’outfit da solo.
TOP (2): Lorenzo Sonego
Se ne parla sempre troppo poco, ma per me è lui la vera rivelazione del torneo. Dopo un 2024 molto complicato, il torinese ha iniziato la nuova stagione nel migliore dei modi. Non aveva un tabellone facile, eppure è riuscito a sbarazzarsi di Wawrinka (che è vecchio, ma è sempre un osso duro), di un Fonseca on fire reduce dalla vittoria con Rublev e pompato fino all’inverosimile dalla stampa internazionale, del temibile Marozsan e dell’ostico Learner Tien (giovanissimo, ma capace di eliminare Medvedev in una delle partite più belle del torneo), prima di mettere in difficoltà perfino un ottimo Ben Shelton nei quarti.
Non è bellissimo da vedere, Sonego, forse anche a causa di una conformazione fisica un po’ particolare, ma ha un tennis diverso, arrembante, coraggioso, da vero samurai. Ha un ottimo servizio, dei bei colpi piatti da fondo, un buon gioco di volo e soprattutto non molla mai - a differenza, ad esempio, del magnifico Musetti, che da quel punto di vista potrebbe metterci un po’ più di palle. Sono proprio suoi, secondo me, due tra i più bei punti del torneo: il tweener vincente con cui ha fatto il break nel terzo set contro Wawrinka e la volée surreale contro Shelton, con la palla che torna indietro scavalcando la rete. Pochi giocatori, sinceramente, mi gasano quanto lui.
TOP (3): Madison Keys
Dopo la sua prima e unica finale Slam a New York, ben otto anni fa, dove perse contro Sloane Stephens, l’allora appena ventenne tennista statunitense era un po’ finita nel limbo delle eterne promesse, anche a causa di una serie di problemi fisici che ne avevano condizionato il rendimento. Fino a un paio di giorni fa la sua stella sembrava brillare meno rispetto a quella di altre sue connazionali come Coco Gauff - secondo me estremamente sopravvalutata -, Jessica Pegula e lo stesso astro nascente Emma Navarro - lei sì una gran bella giocatrice, a mio avviso.
Ridendo e scherzando, invece, ha battuto la sempre ostica Collins, poi la Rybakina, che comunque era una delle pretendenti al titolo, poi una gasatissima Svitolina e infine la numero due del mondo Iga Swiatek in semifinale (grazie, grazie, grazie!), prima di sorprendere la favorita assoluta Sabalenka nella finalissima grazie a un tennis potente, ma soprattutto intelligente - e un dritto tra i più efficaci che abbia mai visto nel circuito femminile. Esiste un modo migliore per fare un come back e vincere il primo Major in carriera? Non credo.
FLOP (1): Alexander Zverev
“Spero che stavolta la fortuna mi assista”, aveva detto il tedesco riferendosi alla sua terza occasione in carriera di vincere il tanto atteso Major. Ma la fortuna - ammesso che sia decisiva per la vittoria di una finale Slam - aiuta gli audaci. E Zverev non lo è, purtroppo. Così, proprio come la famosa scena in “Match Point” di Woody Allen, la pallina colpita un po’ goffamente da Sinner, sul 4-4 nel tie-break del secondo set, si è impennata sul nastro ed è caracollata dall’altra parte della rete, risultando imprendibile per il tedesco e facendo pendere definitivamente la bilancia della sfida dalla parte dell’italiano.
“Ho giocato il miglior set del torneo e l’ho vinto 7-5 al tie-break contro un avversario che era su una gamba sola”, aveva detto Sasha dopo aver passato il turno grazie al ritiro di Djokovic in semifinale. Ma si può? Si può essere più fragili di così? Qui non è questione di gentilezza, né di rispetto nei confronti di una leggenda dello sport. Qui è questione di fiducia in sé stessi. Zverev ha uno dei migliori servizi del circuito, un’ottima preparazione fisica, un’ottima regolarità, un ottimo rovescio: nonostante abbia il diabete, è il numero due al mondo, sta giocando il suo miglior tennis e ha tutte le carte in regola per vincere uno Slam. Ma il problema è nella sua testa. Zverev entra in campo già sconfitto. Gli manca proprio la determinazione, la fame atavica, la voglia di sputare sangue su ogni punto, di lottare come se fosse il più importante.
Aveva ragione Federer, che non gli ha leccato il culo come ha fatto Djokovic, ma gli ha detto la verità: “se vuoi vincere una finale Slam devi smetterla di essere passivo e andartela a prendere”. E lui questa forza non ce l’ha e c’è il rischio concreto che non ce l’avrà mai. Le sconfitte cominciano a essere un duro fardello da portarsi dietro, gli anni passano, i concorrenti sono sempre più giovani e agguerriti e nel tennis moderno le occasioni vanno prese quando si presentano. Resta una fragile speranza per il Roland Garros, magari grazie a un concorso di circostanze - tipo un Ruud in finale -, ma se dopo la valle di lacrime dovuta all’ennesima sconfitta troppo dolorosa dici “Non so se sono così bravo”, la vedo dura.
FLOP (2): Carlos Alcaraz
Era uno dei giocatori più attesi del torneo, soprattutto dopo le delusioni a New York - dove è sconfitto al secondo turno da un ottimo van de Zandschulp - e alle Finals; forse l’unico considerato in grado di contrastare lo strapotere di Sinner sul cemento. L’Australian Open, tra l’altro, era il suo obiettivo principale della stagione - per mettere a segno un tremendamente precoce Career Grand Slam - e invece si è fatto fregare come un pivello da Djokovic, che è riuscito a batterlo giocando una partita stellare, quello sì, ma su una gamba sola. Almeno per un set e mezzo.
Poche idee e confuse per lo spagnolo - e per il suo allenatore-santone Juan Carlos Ferrero - e dei limiti che saltano ancora di più all’occhio visto che in vetta, sempre più lontano (con quasi 5mila punti in più!) c’è lo schiacciasassi di San Candido. Assodata la superiorità dell’italiano sul cemento - al netto di eventuali e imprevedibili faccia a faccia -, ora il banco di prova per entrambi saranno le superfici naturali, sulle quali Alcaraz ha dimostrato di saper ancora primeggiare. Al momento, però, l’impressione è che Sinner stia migliorando sempre di più e che lo spagnolo, al contrario, stia perdendo terreno.
FLOP (3): Daniil Medvedev
Dopo un 2024 senza trofei, per il russo è tempo di riscatto o - speriamo di no, perché c’è bisogno di personaggi come lui - dell’inesorabile declino. Stando a quello che si è visto in Australia, però, i segnali non sono per niente rassicuranti. Prima c’è stata la vittoria soffertissima in cinque set contro il tailandese Kasidit Samrej (numero 423 in classifica); poi la sconfitta dolorosissima, ancora una volta in cinque set, contro il giovane (e promettente) Learner Tien - a mio avviso un pallettaro tremendo - che è riuscito a eliminare il moscovita al termine di una delle partite più divertenti e imprevedibili del torneo.
La palla di Medvedev non cammina più e il russo non riesce più ad accelerare, a cambiare ritmo, a disegnare traiettorie velenose e - in definitiva - a mettere a segno vincenti. Non ho la più pallida idea del perché. Anche il servizio - tradizionalmente uno dei suoi punti di forza sul veloce, che gli permetteva di vincere punti facilmente - non fa più male come un tempo: la prima non è più incisiva e la seconda troppo fragile - assurdo se si pensa che un tempo era solito farci degli ace con la seconda. Il risultato è che ogni punto si trasforma in uno stillicidio: lo scambio diventa lungo e snervante, i tempi si dilatano e il risultato finale si rivela sempre più imprevedibile.
È interessante notare come questa involuzione abbia coinciso con l’ingresso nel suo team di Gilles Simon, o’ filosofo del tennis, uno cioè che non capiva come mai nessuno riuscisse a battere Djokovic - mentre per lui era assolutamente chiaro cosa si dovesse fare per riuscirci… Forse è giunto il momento di cambiare qualcosa?