Djokovic ci ha dimostrato che sa come spegnere il fuoco di Alcaraz - e adesso?
Dev’essere andata così: a un certo punto un ipotetico Creatore del cielo e della terra ha raccolto tutta la “cazzimma” presente nel cosmo e ha deciso di convogliarla con una specie di sacro imbuto nell’anima di un solo uomo, che sarebbe nato a Belgrado nel 1987 e che avrebbe deciso di diventare un giocatore di tennis professionista. Sennò non si spiega.
Quest’uomo oggi ha 37 anni suonati, ha vinto tutto quello che c’era da vincere e potrebbe andarsene tranquillamente in pensione e godersi i soldi, la moglie e i suoi due (splendidi) figli. E invece no. Perché lui si chiama Novak Djokovic e 17 anni (!) dopo il primo dei suoi 10 trionfi (!) a Melbourne, è ancora sotto i riflettori della Rod Laver Arena; la moglie e i figli pure - presenti al gran completo fino all’una e mezza di notte per sostenere il loro beniamino - e pure il suo nuovo allenatore, un certo Andy Murray, uno cioè che dopo aver smesso di giocare a tennis non sa più cosa inventarsi per non dover stare a casa a leggere le fiabe della buonanotte ai suoi marmocchi o - peggio ancora - ad avere a che fare con sua madre.
Il serbo si ritrova a giocare per la quindicesima volta (eguagliato l’ennesimo record di Federer) i quarti di finale dello Slam australiano. Il suo avversario, Carlos Alcaraz, è uno dei giovani più affamati (e vincenti) del circuito: 21 anni, quattro Slam - tra cui due Wimbledon vinti in finale proprio contro Djokovic. Fino a quel momento aveva azzannato senza pietà i suoi avversari, lasciando per strada un solo set, e la vittoria a Melbourne - che gli avrebbe permesso di completare il Career Grand Slam (polverizzando il record di precocità di Rafael Nadal) - era il suo obiettivo principale della stagione. Senza contare la voglia matta di prendersi la rivincita dopo la dolorosa sconfitta nella finale olimpica dell’estate scorsa a Parigi. Insomma, per Djokovic l’occasione di ribaltare i pronostici e fregare tutti era troppo ghiotta.
Istruzioni per prevenire un incendio
Vista la differenza di età tra i due - quasi sedici anni (è un record pure questo) - e la partita al meglio dei cinque set, era logico che Djokovic dovesse trovare un modo per non portare il confronto sul piano fisico, anche perché - come se non bastasse - il serbo aveva passato circa tre ore in più in campo di Alcaraz, il quale aveva pure beneficiato del ritiro di Draper nel turno precedente. Manco a dirlo, Djokovic si fa subito male all’adduttore della coscia sinistra verso la fine del primo set, che se ne va via più o meno così: break immediato di Djokovic, che parte bene. Ma Alcaraz spesso è un diesel e infatti realizza subito il controbreak e poi sul 4-4 ne arriva un altro su un dritto sparato malamente in corridoio dal serbo dolorante. Subito dopo Djokovic chiama il Medical Time Out, lo imbottiscono di antidolorifici e rientra in campo con una vistosa fasciatura alla coscia. Sembra già (quasi) finita: con un ritiro o giù di lì. Il Djoker perde il primo set e si vede che è sofferente e che fa fatica negli spostamenti. Se ne rende conto anche Alcaraz, che però non ne approfitta, anzi, sembra destabilizzato dalla situazione: invece di cercare di allungare gli scambi, sbaglia molto e perde progressivamente lucidità. Djokovic, invece, fa alla perfezione tutto ciò che deve fare. Usa il cervello e le armi a sua disposizione: si limita a servire molto bene e a rispondere ancora meglio, cercando di accorciare gli scambi. Il primo miracolo si compie: pur essendo vistosamente diminuito, riesce a portarsi a casa il secondo set, breakando in apertura e confermando il vantaggio fino alla fine del parziale.
A partire dal terzo set, gli antidolorifici cominciano a fare effetto. Djokovic non solo continua a servire bene e a rispondere in maniera mostruosa - Alcaraz non sa più cosa fare ed è assurdo se si pensa che lo spagnolo in Australia sembrava essere migliorato proprio in quel fondamentale -, ma recupera anche sicurezza e fluidità nei movimenti. Ora il serbo tiene bene anche gli scambi di più di venti colpi. Ce n’è uno a mio avviso clamoroso, sulla palla set del terzo, quando quasi inciampa nel tentativo di recuperare un pallonetto che lo aveva scavalcato, ma riesce comunque a ribaltare l’equilibrio dello scambio a suo favore. Il suo è un capolavoro di tenacia e ostinazione che ricorda le imprese di Rafael Nadal. Ma mentre nel campione spagnolo erano la potenza e la forza bruta a rimanere impresse nella memoria - e a gasare i tifosi -, nel caso del serbo a stupire sono l’intelligenza, la giustezza, la lucidità e la capacità di fare sempre la scelta giusta - citerei a questo proposito una volée alta di rovescio che, pur non essendo particolarmente elegante, mi ha particolarmente impressionato (secondo set, sul 4-4).
Il gioco chirurgico di Djokovic - fatto anche di dettagli importanti, come il tempo (interminabile) preso prima di servire o tra la prima e la seconda palla - ha disinnescato la bomba a orologeria spagnola, impedendo all’incendio di divampare. Il rischio c’è stato, sul 3-1 nel quarto set (palla del doppio break per il serbo), al termine di un altro braccio di ferro inumano, stavolta vinto da Alcaraz, che ha riacceso il pubblico e rischiato di dare nuova linfa vitale al torello di Murcia. Ma era già troppo tardi. Djokovic si porta a casa anche il quarto set e chiude la partita dedicando la vittoria ai tifosi serbi, che in occasione dell’ottavo di finale contro il ceco Lehečka erano stati a suo avviso ingiustamente perculati da un telecronista australiano - costretto poi a scusarsi pubblicamente. Per il serbo è stato come “giocare una finale - ha dichiarato a fine partita - su una gamba e mezza”. Difficile commentare ulteriormente la portata epica di questo exploit.
Ridi pagliaccio
Per quanto mi riguarda, Alcaraz sta perdendo molto del suo sex appeal. Quando le telecamere lo immortalano fuori dai campi da tennis, spesso mi sembra di vedere uno scemotto in canotta che ridacchia su tutto o che fissa il vuoto con le cuffie alle orecchie e la bocca spalancata. Per carità, c’ha vent’anni e va bene così. Ma è un atteggiamento che a mio avviso cozza con l’aura del campione che è già diventato da tempo. La condizione fisica e i colpi spettacolari ci sono, ma manca una preparazione tattica all’altezza delle sfide più importanti. Quando lo spagnolo non si diverte, quando non riesce a entrare in sintonia con il pubblico, perde smalto. E con Djokovic c’è poco da divertirsi: si fa sul serio. Quando Alcaraz perde il sorriso e comincia ad innervosirsi sembra proprio un ragazzino: blatera a destra e a manca e sbaglia. Troppo. E a volte - al contrario del suo mentore Nadal - è vittima della tentazione di fracassare la racchetta a terra. Un campione come lui, dotato di un talento straordinario, non può essere così lunatico. Si toglierà tante altre soddisfazioni, questo è certo, ma prima o poi i suoi rivali diretti capiranno come fare per impedirgli di entrare in partita e cercheranno di anestetizzarlo, di togliergli il gusto di giocare a tennis.
Chissà se Sinner ha preso appunti per il futuro. Non tanto su Djokovic - con cui ha preso le misure da tempo e le cui strategie funzionano fino a un certo punto -, ma proprio su Alcaraz. Chissà se anche lui - che è l’erede tennistico di Djokovic - ha capito cosa dovrà fare per neutralizzare il suo tennis champagne; come strappargli il sorriso dalla faccia (e dalle braccia). Si vedrà.
Ma per il momento è Djokovic a far paura, anche se il serbo dovrà prima vedersela con Zverev. La partita sarà incerta, troppe le variabili. Innanzitutto bisognerà verificare se e quanto Djokovic recupererà dall’infortunio, nonostante il giorno di riposo. E poi bisognerà capire se Zverev - che mi pare abbia zoppicato non poco nel suo quarto contro Tommy Paul - è davvero pronto a fare il salto di qualità che ci si aspetta da lui. Nel caso di una partita tirata, che si giocherà su pochi punti, dubito che il tedesco riesca a spuntarla con questo Djokovic - il serbo tra l’altro è in vantaggio 8-4 negli scontri diretti. Ma c’è la possibilità che il dolore ci metta lo zampino e in quel caso potrebbe finire anche diversamente. Di certo, una finale Sinner-Djokovic sembrerebbe l’esito più probabile e in quel caso - stavolta non ci facciamo fregare - è meglio non azzardare previsioni. Potremmo sbagliare. Ancora una volta.