Da quando Jack Draper è passato agli onori delle cronache come uno dei migliori amici di Sinner, ha cominciato a spaccare tutto. Bisognava aspettarselo prima o poi, perché il britannico è un giocatore strepitoso, di gran lunga superiore ai connazionali Norrie (sopravvalutato, antipatico ed esteticamente inguardabile) e al povero Evans, l’uomo senza rovescio, che sembra il protagonista sdentato di un film di Ken Loach prestato alla racchetta; nonché agli altri giovani mancini atomici che in questi mesi stanno tentando la scalata alla top 10: Shapovalov sta tornando, ma deve ancora dimostrare di essere in grado di arrivare fino in fondo nei tornei che contano davvero; Shelton infiamma, ma non ha ancora trovato la quadra, cioè il modo di abbandonare una volta per tutte il pianeta dei bimbiminkia per approdare nel mondo degli adulti, dove l’energia va incanalata per garantire solidità e risultati; quanto a Humbert, che non mi è mai dispiaciuto, dovrebbe fare professione di umiltà, perché a forza di credere di essere il più forte di tutti, ha perso anche la leadership della compagine francese a vantaggio del torello pazzo (simpatico come la sabbia nelle mutande) Arthur Fils, il quale - notizia! - non è esattamente Yannick Noah.
E invece Draper, dopo il meritato successo nel primo 1000 della stagione a Indian Wells - udite udite: è arrivato in finale battendo nell’ordine Fonseca, Brooksby, Fritz, Shelton e un Alcaraz “on fire” -, è salito alla sesta posizione del ranking (mica male!), ma soprattutto sembra aver risolto i problemi fisici che sembravano affliggerlo da sempre. Ora il ventitreenne talento londinese può finalmente sviluppare senza paura il potenziale del suo tennis mirabolante: il servizio micidiale, l’ottima agilità negli spostamenti - nonostante la stazza -, ma soprattutto la straordinaria rapidità di braccio, in particolare nell’esecuzione del dritto: sono frustate secche e fulminanti le sue, con cui riesce a generare una velocità di palla a mio avviso comparabile solo a quella di Sinner e di Alcaraz. Il segreto per riuscire sembra essere tutto lì: gestire quell’esplosività sulla durata di un intero match (e nei punti decisivi) e inquadrarla in una cornice tattica efficace. Mi viene da pensare che con Sinner non abbiano solo passato del tempo in cucina, ma che si sia parlato anche di tennis. Farebbe bene anche ad Alcaraz - che ha pure lui qualche problema nel gestire la lava che si porta dentro - seguire l’esempio di equilibrio di Sinner, perché subìre un repentino 3-0 in sette minuti come nella semifinale contro Draper non si addice a un tennista del suo livello.
La vittoria di Draper in finale non dovrebbe aver scoraggiato più di tanto il suo avversario, Holger Rune. Il danese aveva già vinto, in realtà, perché dopo gli exploit alieni del 2022 - un Masters 1000 a Parigi e il quarto posto nel ranking mondiale - era precipitato in una drammatica crisi di identità e di risultati. Ora il bad boy danese sembra aver cambiato pelle: la strafottenza del passato - ricordiamo la partita contro Sinner a Montecarlo, tanto per fare un esempio -, le provocazioni continue nei confronti degli avversari, le dichiarazioni sfrontate e via dicendo, hanno lasciato il posto alle paroline dolci e alle lacrime. Il suo è un ritorno al francescanesimo di stampo sinneriano, proprio come la pecorella smarrita che torna all’ovile: via i coach superstar (da quel pallone gonfiato di Mouratoglou all’imbarazzante Becker, all’epoca appena uscito dal gabbio) e ritorno alle origini con l’allenatore del circolo sotto casa in versione pastore protestante: testa bassa e lavorare, come ha dichiarato lui stesso. Fondamentali per la sua rinascita le parole pronunciate da mamma Aneke, che ha preso le parti di Sinner sul caso Clostebol. Così si fa: se volete vincere dovete stare dalla parte del Bene.
Tsitsipas, per esempio, era anche lui sulla buona strada: “Avrei dovuto perdere a Montecarlo contro Sinner”, aveva dichiarato un paio di mesi fa. Ed ecco, puntuale, l’inattesa rinascita. Il greco si presenta a Dubai con un nuovo misterioso telaio - gli esperti parlano di una Babolat - e una nuova verve: a parte un servizio ancora troppo poco incisivo per i suoi standard, Tsitsipas mostra a tutti un gioco spumeggiante ed efficace e un rovescio fenomenale, con cui va a prendersi meritatamente il torneo, proprio quando ormai tutti, dopo la sconfitta al primo turno dell’Australian Open contro Michelsen, quella ai quarti contro un pur brillante Bellucci a Rotterdam e un’altra al primo turno contro il buon Mededovic in Qatar, lo davano per finito. Purtroppo per lui, però, agli ottavi di Indian Wells ha trovato sul suo cammino un Rune in piena conversione sinneriana. In più, non va dimenticato che il greco rimane sempre quello delle frasi tipo: “Dicevano che il mio tennis stava affondando, così mi sono preso una barca” - pronunciata dopo aver vinto un trofeo a forma di veliero a Dubai. Potrebbe far ridere, ma no. Se la dice lui no. Non dimenticarti mai di volare basso, Tsitsi.
Personaggi come Medvedev, invece, che si è rallegrato del fatto che Sinner se ne fosse andato fuori dalle palle per un po’, sono destinati a soffrire le pene dell’inferno. Guardarlo giocare, ormai, è come assistere al supplizio di Sisifo. Illuso dagli organizzatori del torneo che il cambio di superficie avrebbe resto il campo più veloce - quello di Indian Wells è sempre stato il più lento tra i campi veloci -, si è ritrovato come al solito a fare il tergicristallo: quasi mai capace di far male col servizio, né di avanzare verso la rete (o semplicemente di mettere un piede nel campo) e quasi mai in grado di mettere a segno un vincente se non con il suo colpo più valido e spettacolare: il passante. Le sue vittorie, ormai, lasciano il sapore dell’evento episodico - la singolare esultanza dopo la vittoria al tie-break del terzo contro Fils è il segno evidente che non ci credeva manco lui - e la sconfitta con Rune in semifinale sarebbe potuta risultare meno inevitabile di quanto non lo sia sembrata: diciamocelo, il danese fa ancora fatica a ritrovare il suo miglior tennis e anche la sua palla - proprio come quella di Medvedev - non cammina come dovrebbe. L’impressione è che il russo e il suo team non sappiano trovare una soluzione a questa preoccupante involuzione, perché non si vedono cambiamenti nel suo approccio tecnico-tattico alle partite. Se continua così, sulla terra saranno dolori. La soluzione migliore potrebbe essere proprio quella di rilasciare una dichiarazione gentile su Sinner. Ci faccia un pensierino!
Dopo il “patteggiamento” e la relativa sospensione dell’altoatesino, anche Zverev, suo diretto concorrente per la vetta della classifica ATP, aveva storto il naso: “Questa faccenda è strana - aveva dichiarato -. O uno è innocente e quindi niente sospensione, oppure è colpevole e in questo caso tre mesi sono pochi per aver assunto steroidi”. Caro Sacha, sei sicuro di quello che dici? Stai mettendo in dubbio l’onestà di quella persona che dopo avertele suonate di santa ragione in finale a Melbourne, ti ha preso la faccia tra le mani per asciugarti le lacrime? Bene. Non vincerai più. E così è stato. Trasferta fallimentare sulla terra in Sudamerica - fuori ai quarti sia a Buenos Aires che a Rio e agli ottavi ad Acapulco - ed eliminazione al primo turno a Indian Wells. Risultato? Sinner sempre più saldamente numero uno, pur senza scendere in campo. Se per caso hai voglia di vincere una partita a Miami, sai cosa fare: rimangiati quello che hai detto.
Disastro totale a Indian Wells - e non poteva essere altrimenti, vista la potenza del karma-Sinner - anche per gli acerrimi nemici del nostro. Il pagliaccio numero uno, Nick Kyrgios, a forza di twittare frasi al veleno, non riesce a risolvere il suo problema al polso. Ben consapevole dei suoi limiti fisici - un po’ meno, purtroppo per lui, di quelli cerebrali - aveva già paventato il dubbio di riuscire a vincere una partita. Non ci è sembrato proprio uno scoop, a dire il vero, ma per una volta - e a ragione - ci siamo fidati di lui: fuori al primo turno contro il mitologico van de Zandschulp e lacrime di coccodrillo a fine partita. Proprio lui, il faggiano tatuato che non deve chiedere mai, piegato in due dal dolore e dallo sconforto. Qualche minuto dopo, il fastidio al polso dev’essersi attenuato e l’australiano ha potuto ricominciare a twittare stronzate. Spiaze per lui, ma va detto che anche se avesse vinto, comunque non avrebbe potuto sfidare il suo compagno di merende.
Brutte notizie, infatti, anche per Novak Djokovic, che si ostina ad avere un atteggiamento ambiguo nei confronti di Sinner a causa delle sue frecciatine indirette, quasi invisibili, ma che ovviamente non possono sfuggire agli occhi attenti di un tifoso. Stavolta a far discutere è stato il riferimento a Joao Fonseca, il giovanissimo talento brasiliano nel cui gioco il serbo “aveva visto qualcosa di sé” (?) e che ha definito come il possibile “nuovo Alcaraz”, anche se tutti, fin dall’inizio, lo chiamano “il piccolo Sinner” - chissà se Djokovic, tra l’altro, aveva già letto le ultime dichiarazioni di Fonseca, che pensa che Federer sia il più grande tennista della storia… Fatto sta che al serbo non conviene continuare a fare il furbo: tre sconfitte consecutive per lui dall’inizio della stagione (Melbourne, Doha e Indian Wells), evento che nel suo caso non si verificava da tipo 150 anni. Peccato. Basterebbe un po’ più di impegno per sottrarsi al karma. Ma vi consiglio di sbrigarvi, comunque, se volete ancora raggranellare qualche punto, perché tra una cinquantina di giorni la pacchia è finita.