Gli indizi cominciano ad affastellarsi in maniera più che sospetta, quindi forse è lecito porsi la domanda senza troppi giri di parole: a Djokovic sta sul cazzo Sinner? Oppure sono solo le tipiche seghe mentali degli appassionati accecati dal tifo o i soliti ricami dei giornalisti a caccia di gossip? Di sicuro gli eventi a margine di questo inizio di stagione spingerebbero chiunque a pensare male. Ad esempio: era il caso che il serbo accettasse di giocare il doppio con Nick Kyrgios ad Adelaide dopo mesi di accanimento - spesso al limite della diffamazione - da parte dell’australiano nei confronti di un incolpevole Sinner? Va bene che tra i due “bad boys” c’era stata una promessa dopo la finale di Wimbledon, nel “lontano” 2022, ma associando la propria immagine a quella di un individuo come Kyrgios, il serbo non era consapevole di lanciare un messaggio ambiguo?
Potrebbe essersi trattato solo di un innocuo sodalizio sportivo, certo, ma sta di fatto che Djokovic si è sempre guardato bene dal condannare apertamente il comportamento antisportivo del suo amichetto, né si è mai pronunciato in favore dell’italiano, al contrario di tanti altri colleghi (anche i più improbabili). E ancora: come bisogna interpretare le parole del serbo sul caso “doping” - termine che va sempre messo tra virgolette, perché è già assodato da tempo che Sinner non si sia mai dopato - con cui ha accusato l’ITIA di aver nascosto il caso per cinque mesi? Critiche all’ITIA che, tra l’altro, risultano ancora più incomprensibili alla luce del documento del PTPA (il sindacato a cui ha dato vita il serbo) redatto insieme all’associazione WPA (World Player Association), che sottolinea come i giocatori abbiano diritto alla privacy nel corso del processo che li vede coinvolti in caso di doping e che la sentenza debba arrivare solo quando è stata presa la decisione finale.
Poi, a stretto giro, c’è stata la famosa intervista su GQ: a Djokovic viene chiesto di associare una parola ai grandi campioni del tennis. Se per Federer sceglie “eleganza”, per Nadal “tenacia” e per Alcaraz “carisma'“, per Sinner, numero uno al mondo da un anno e dominatore incontrastato del tennis attuale, sceglie la parola “sci”. Anche in questo caso: polemiche montate ad arte dai giornali? Tutta colpa della patologica suscettibilità dei “sinneriani”, che non sono nient’altro che una mandria di tifosi di calcio prestati al tennis, pronti sempre a vedere del marcio anche dove non c’è quando si tratta di difendere il proprio beniamino? Può darsi, ma va detto che la scelta è stata comunque originale, anche perché qui si parla di una leggenda dello sport che rilascia interviste da vent’anni e che dovrebbe sapere benissimo a cosa va incontro quando risponde in un modo anziché in un altro.
Intanto l’Australian Open procede, Djokovic accede ai quarti e batte incredibilmente Alcaraz (quasi) su una gamba sola, ma a causa dell’infortunio rimediato durante quella partita, si ritira dopo aver perso il primo set nella semifinale contro Zverev, che avrebbe quindi incontrato Sinner in finale. Ok che il tedesco è stato molto gentile a difenderlo dai fischi del pubblico - “leggermente” contrariato a causa della fine prematura del match -, ma era davvero necessario dichiarare che avrebbe tifato per Zverev - come se Sinner non meritasse di vincere -, oppure, subito dopo la finale in cui il tedesco è stato asfaltato, riservare a lui più di una parola gentile e solo una fredda frasetta di circostanza al dominatore del torneo?
Un passaggio di consegne troppo doloroso?
Molti osservatori hanno già da tempo definito Sinner come l’erede naturale di Djokovic. I due, in effetti, dal punto di vista puramente tecnico, giocano lo stesso tipo di tennis: sono fortissimi da fondocampo sia con il dritto che con il rovescio; hanno un servizio non vistoso, ma insidioso e molto efficace, soprattutto nei momenti di difficoltà; rispondono meglio di tutti gli altri e hanno una solidità mentale fuori dal comune che permette loro di fare sempre la scelta giusta - spesso la più semplice - minimizzando (se non azzerando) gli errori nei punti decisivi di un match. Forse solo dal punto di vista fisico Sinner sembra più fragile del serbo, da cui la mossa di “importare” gli storici preparatori atletici di Djokovic, i cui effetti positivi sono già ampiamente visibili.
Fin qui tutto a posto, quindi, se non fosse che - a detta anche di molti tennisti che li hanno affrontati entrambi -, Sinner non si limita a fare (bene) le stesse cose di Djokovic, ma le fa addirittura meglio di lui. Il riferimento principale è relativo alla pesantezza, alla profondità e alla velocità di palla dell’italiano - visibilmente superiori a quelle del serbo - che rendono il suo gioco ancora più asfissiante per gli avversari, il cui gioco viene neutralizzato prima ancora di poter essere messo in pratica. Uno di loro, il norvegese Casper Ruud, dopo una cocente sconfitta alle Finals dichiarò: “Djokovic ti lascia almeno la possibilità di scambiare, Sinner neanche quello”.
Come se non bastasse, l’impressione è che l’altoatesino abbia ancora un certo margine di miglioramento. Spesso gli aggiustamenti non sono molto visibili, anche perché Sinner non ha voglia di prendere più rischi del dovuto, ma è chiaro che l’italiano stia lavorando con discreti risultati sulle palle corte - che per il momento sono rare, ma sempre più spesso letali - e sul gioco a rete. Al contrario del suo principale avversario, Carlos Alcaraz, il cui rendimento al momento è altalenante e che comunque da quando ha cominciato a vincere nel circuito maggiore ha giocato sempre lo stesso tennis, Sinner non ha mai smesso di lavorare sui suoi (pochi) punti deboli, riuscendo costantemente a migliorarsi.
A tutto questo vanno aggiunti anche i risultati. Se i numeri sono l’unica cosa che conta per Djokovic (e per i suoi seguaci), allora facciamo in modo di farli valere anche per gli altri, e quindi anche per Sinner, anche se potrebbe sembrare sterile mettere a confronto un giocatore a fine carriera con uno che l’ha appena iniziata. Però intanto i numeri dicono che - a parità di età - Sinner ha già più settimane da numero uno e più Slam vinti (senza contare tanti altri record da capogiro). Inoltre Sinner - a differenza di Nadal e di Federer - domina sul cemento - e con buone probabilità potrà dimostrare di essere capace di farlo anche sull’erba - e si sa che, nel tennis di oggi, chi domina sul cemento, in prospettiva, ha i numeri dalla sua parte. Ripeto, questo non significa niente, ovviamente, perché i conti si faranno alla fine, ma è abbastanza per mettere la pulce all’orecchio a chi per tutta la carriera non ha pensato ad altro che ai record da battere.
Sappiamo quanto sia doloroso per campioni straordinari, quasi inumani, come i “Fab Four” appendere la racchetta al chiodo. Ricordiamo tutti le atroci sofferenze di Murray, che ha continuato a giocare con due protesi alle anche o la testardaggine di Nadal, che si è spinto fino a un passo dal diventare ridicolo. Lo stesso Djokovic ha dichiarato che il padre vorrebbe convincerlo a smettere. Figuriamoci quanto possa essere devastante abbandonare tutto con l’impressione (terribilmente sgradevole) che ci sia già uno pronto a battere potenzialmente quei record a cui hai dedicato tutta la tua vita agonistica e che improvvisamente sembrano più fragili di ciò che pensavi.
Chi semina vento raccoglie tempesta
Novak Djokovic ha sempre dispensato parole al miele nei confronti dei suoi più grandi avversari Rafael Nadal e Roger Federer; Murray lo ha addirittura assunto come allenatore, quindi non ne parliamo. A mio avviso farlo non gli è costato molto sacrificio, perché sotto sotto sa di aver vinto più di loro, sia negli scontri diretti, sia in termini complessivi e che i numeri contano, mentre le chiacchiere stanno a zero. Facile per lui, quindi, fare bella figura definendo Federer il più grande di sempre, perché così facendo sottintende che lui lo è ancora di più, avendolo (purtroppo) battuto a più riprese.
Lo stesso atteggiamento viene attualmente riservato a giocatori come Zverev e Alcaraz. Si può essere più ipocriti nel dire che Zverev merita di vincere uno Slam, quando il tedesco rappresenta tutto ciò che il serbo (per sua fortuna) non è? Cioè il giocatore fragile di nervi per eccellenza, la “mammoletta” che non crede in se stesso, che si caga sotto nei momenti che contano e che si colloca esattamente all’opposto del suo virilismo balcanico? E anche Alcaraz, giocatore esplosivo, bello, ma troppo umorale: i complimenti di Djokovic suonano come gli applausi di uno spettatore che va al circo a vedere i giocolieri e poi, quando lo spettacolo finisce, pensa: bene, ora torniamo a occuparci delle cose serie.
Se Djokovic ha dovuto rinunciare ad avere i favori del pubblico e degli amanti del tennis - il serbo non può piacere a chi ama davvero il tennis e infatti la sua fanbase è quasi esclusivamente costituita da conterranei (spesso donne mature che sognano un maschio che non esiste più), no-vax che non hanno mai visto una partita di tennis in vita loro e qualche anticonformista che rosica perché Federer è troppo bello per essere vero - e lo ha fatto per i numeri. L’importante per lui è sempre stato vincere, non essere amati. Ora si ritrova a constatare che il suo erede, oltre a essere potenzialmente più forte di lui, è pure più amato dal pubblico. Perché Sinner è un ragazzo corretto, sportivo, umile, sensibile - forse pure troppo - e non si può non volergli bene. E infatti è uno dei tennisti più amati del circuito, anche e soprattutto dai suoi colleghi.
È proprio nella fanbase di Djokovic che ogni tanto si sente puzza di bruciato. La tendenza, spesso furbescamente dissimulata, è quella di criticare Sinner - magari solo perché è stato citato da quel pagliaccio del virologo Bassetti - anche quando è incriticabile. Si tira in ballo la noia - come se le partite di Djokovic fossero uno spettacolo di fuochi d’artificio -, oppure la sua presunta mancanza di attaccamento alla patria perché non va tutti i giorni a baciare il culo a Mattarella - nonostante abbia fatto vincere due volte la Coppa Davis a un Paese che non si ricordava più manco come era fatta -, oppure sulla residenza fiscale a Montecarlo, quando noi italiani siamo i campioni dell’evasione fiscale. È una tensione velata, ma palpabile e talvolta significativa, perché questo tipo di fanbase funziona come un clan e tende a rispondere pavlovianamente agli stimoli forniti dal loro infallibile “boss”.
Ammesso e non concesso, quindi, che le mie - e quelle di chi la pensa come me - non siano davvero solo delle seghe mentali, che non ci stiamo tutti facendo un film (di cattivo gusto) e quindi che Djokovic stia davvero rosicando, ebbene il serbo avrebbe tutte le ragioni per farlo. Il punto è questo, insomma: che ti capiamo, caro Novak. Coraggio!